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Caso Peppermint, spiare gli utenti del file sharing è illecito

Il Garante Privacy interviene sullo scambio e sulla protezione dei dati. Le società che hanno effettuato il monitoraggio dovranno cancellare, entro il 31 marzo, i dati personali degli utenti. Il commento di Fimi

Spiare gli utenti del file sharing con attività di monitoraggio è illecito. Il Garante della Privacy mette i paletti nella protezione dei dati anche nello scambio di file musicali e giochi, emersi nel famoso caso Peppermint.

Grazie al tribunale la casa discografica tedesca era riuscita a ottenere gli indirizzi IP degli utenti italiani accusati di scaricare illegalmente brani di proprietà dell'etichetta tramite i prigrammi P2P. I "colpevoli" avevano poi ricevuto una raccomandata che intimava loro di pagare 330 euro di risarcimento per non essere ulteriormente perseguiti per via giudiziaria. Il garante Privacy, verificando la correttezza delle procedure con cui erano state ottenute le informazioni personali degli utenti, aveva affermato che il caso Peppermint/Logistep era di fatto un abuso.



Le società private non possono svolgere attività di monitoraggio sistematico per individuare gli utenti che si scambiano file musicali o giochi su Internet.

L’Autorità per la privacy ha chiuso l’istruttoria avviata sul “caso Peppermint”, la società discografica che aveva svolto, attraverso una società informatica svizzera (Logistep, utilizzata anche dalla società Techland con riferimento a software relativi a giochi), un sistematico monitoraggio delle reti peer to peer (P2P). Tramite l’utilizzo di software specifici, le società avevano individuato numerosissimi indirizzi IP (che identificano i computer collegati ad Internet) relativi a utenti ritenuti responsabili dello scambio illegale di file: erano poi risaliti ai nomi degli utenti, anche italiani, al fine di potere ottenere un risarcimento del danno. Il Garante, grazie anche all'azione della rete e di molti blogger, richiamando anche la decisione dell’omologa Autorità svizzera, ha ritenuto illecita l’attività svolta dalle società.
Innanzitutto, ha ricordato il Garante, la direttiva europea sulle comunicazioni elettroniche vieta ai privati di poter effettuare monitoraggi, ossia trattamenti di dati massivi, capillari e prolungati nei riguardi di un numero elevato di soggetti. E’ stato, poi, violato il principio di finalità: le reti P2P sono finalizzate allo scambio tra utenti di dati e file per scopi personali. L’utilizzo dei dati dell’utente può avvenire, dunque, soltanto per queste finalità e non per scopi ulteriori quali quelli perseguiti dalle società Peppermint e Techland (cioè il monitoraggio e la ricerca di dati per la richiesta di un risarcimento del danno).

Infine non sono stati rispettati i principi di trasparenza e correttezza, perché i dati sono stati raccolti ad insaputa sia degli interessati sia di abbonati che non erano necessariamente coinvolti nello scambio di file.

Sulla base del provvedimento del Garante (di cui è stato relatore Mauro Paissan), le società che hanno effettuato il monitoraggio dovranno ora cancellare, entro il 31 marzo, i dati personali degli utenti che hanno scambiato file musicali e giochi attraverso il sistema P2P.

Fimi commenta la decisione dell'Autorità per la Privacy. Enzo Mazza, Presidente della Federazione Industria Musicale Italiana - aderente a Confindustria afferma. "La decisione del garante porterà i titolari dei diritti ad aumentare il contenzioso penale con centinaia di denunce alle forze di polizia ed alla magistratura, anche in quei casi dove il tutto si poteva risolvere con un richiamo via email e sposterà pesantemente il target delle azioni giudiziarie contro i service provider".

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Trofeo Birra Moretti 2006 -Stadio San Paolo

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NAPOLI-INTER 1- 0 del 02/03/2008

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NetApplications: le statistiche aggiornate

NetApplications ha pubblicato le statistiche, relative al mese di Febbraio, riguardanti l'utilizzo dei vari sistemi operativi, browser web e motori di ricerca.

Per il quarto mese consecutivo Mozilla Firefox scalfisce il primato detenuto da Internet Explorer arrivando a conquistare il 17,3% del mercato. E' questa la fetta di utenza che, con il browser opensource, si è collegata ai 40.000 siti web monitorati da NetApplications.

Rispetto al mese di Ottobre 2007, Firefox guadagna così altri 2,3 punti percentuali.

Di contro, Safari, il browser targato Apple, dopo aver fatto registrare una buona penetrazione iniziale, sembra avere subito, a Febbraio, una battuta d'arresto passando dal 5,8% del mese di Gennaio ad un 5,7%.

Gli utenti di Internet Explorer restano il 74,9% del totale (un anno fa la fetta di mercato detenuta dal browser di Microsoft era pari al 79,4%) e molti, ancora, continuano ad impiegare la versione 6.0 del prodotto (il 30,6% degli utenti).E' questo uno dei problemi con i quali Microsoft è costretta a misurarsi nell'attesa di togliere il velo su Internet Explorer 8.0, in occasione del Mix '08 che si terrà - a partire da Mercoledì - a Las Vegas.

Per quanto concerne i sistemi operativi utilizzati dagli utenti, il 91,6% di essi utilizza Windows (il 74,5% impiega Windows XP, il 12,9% Windows Vista mentre il 2,5% Windows 2000). I sistemi Macintosh basati su piattaforma Intel sarebbero il 4,4% del totale mentre Mac OS si ferma al 3,1%. Gli utenti che si appoggiano a Linux per "navigare" sarebbero ancora pochi (la percentuale riportata da NetApplications è inferiore all'1%).

Sul versante motori di ricerca, Google si conferma leader incontrastato (77,3%). Seguono Yahoo e MSN, rispettivamente, con il 12,2% ed il 3,5%.

Fonte: NetApplications

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Internet Explorer 8 supporterà gli standard Web

Nella nuova versione del browser di Microsoft verrà attivata di default la modalità maggiormente compatibile con gli standard del Web, così la Commissione Europea non potrà protestare.

Il risultato del superamento del test Acid2.
A pochi giorni dal rilascio pubblico della beta 1 di Internet Explorer 8, Microsoft annuncia un importante cambiamento nel comportamento del proprio browser: di default, la modalità di rendering attivata sarà quella definita super standard, ossia quella che rispetta le linee indicate dal W3C e supera il test Acid2.

Pare che infine anche a Redmond si siano accorti dell'importanza del rispetto degli standard generalmente accettati, sebbene l'annuncio della novità rappresenti un pietoso tentativo di coprire gli errori del passato.
Sul sito di Microsoft si legge infatti: "La progressiva evoluzione del Web ha reso necessario che i browser come Internet Explorer includessero molteplici modalità di rendering dei contenuti", qualcuna che garantisca l'interpretazione degli standard Web e qualcuna che mantenga la compatibilità con i siti esistenti.
Affermare che questa necessità sia dovuta a un naturale processo evolutivo è quantomeno fuorviante. Se Microsoft (anche Netscape ha le sue colpe, ma non si parla male dei morti) non avesse tentato nel passato di imporre soluzioni proprietarie in guerra con gli standard proposti dal W3C, Internet Explorer non avrebbe ora nessun bisogno di far scegliere l'utente tra varie modalità di rendering, e tutti i siti sarebbero visualizzabili allo stesso modo con ogni browser.
Ma a Redmond hanno deciso di fare di testa propria finché non si sono accorti, probabilmente grazie anche al successo dei prodotti concorrenti, che non riuscivano a cancellare gli standard per sostituirli con le proprie tecnologie e, per capitolare senza perdere la faccia, si sono inventati la storiella della "progressiva evoluzione del Web". Sarebbe bastato supportare gli standard fin da subito.
In ogni caso la notizia è positiva. Dal momento che esistono moltissimi siti scritti appositamente per Internet Explorer 6 e precedenti, questa mossa potrà forse portare alla riscrittura degli stessi in modo che siano accessibili a chiunque indipendentemente dal software. Forse non accadrà per quelli amatoriali, ma almeno si spera che succeda per quelli delle aziende che sembrano attualmente non amare Safari, Firefox, Opera e compagnia.
Nell'annuncio di Microsoft si legge ancora: "Abbiamo deciso di dare la massima priorità al supporto di questi nuovi standard del Web. In linea con le affermazioni fatte nei nostri Principi di Interoperabilità [...] lavoreremo con i produttori di contenuti per assicurare che questi capiscano i passi che stiamo compiendo".
Quest'altra affermazione, che proviene da Ray Ozzie e cita chiaramente l'interoperabilità, spiega quello che probabilmetne è il vero motivo per la modifica a Internet Explorer 8: non offendere ulteriormente la Commissione Europea, ancora prima che a qualcuno possa venire in mente di lamentarsi perché Microsoft non rispetta gli standard.
In effetti, il vicepresidente Brad Smith sembra confermare quest'ipotesi: "Anche se non crediamo che attualmente ci siano obblighi legali che indichino quale modalità di rendering debba essere scelta per default, questa mossa rimuove chiaramente la questione".
Tutto ciò fa sospettare che il rispetto per gli utenti e gli standard non sia poi un valore così importante ma piuttosto che, non riuscendo a imporre le proprie tecnologie e volendo evitare grane legali, convenga fare buon viso a cattivo gioco e accettare il ruolo di paladini dell'interoperabilità.

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